
(giornalista, scrittore e traduttore).
Nato a Torino, ha compiuto studi musicali in pianoforte e conseguito una Laurea in Musica presso il DAMS dell’Università di Bologna e un PhD in etnomusicologia presso la SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra. È stato tra i fondatori della IASPM Italiana (sezione dell’International Association for the Study of Popular Music), di cui è attualmente segretario.Ha tenuto corsi e seminari presso conservatori e università e preso parte a numerosi convegni internazionali. Ha partecipato alla stesura del rapporto “Music in Europe” (1996), ha all’attivo curatele e collaborazioni con enciclopedie italiane e straniere (Enciclopedia Italiana, GDE/NOVA Utet, Enciclopedia di Repubblica, Britannica, Continuum Encyclopaedia of Popular Music of the World, Encyclomedia, Greenwood Encyclopedia of LatinAmerican Popular Music), nonché la traduzione dall’inglese e la postfazione per vari volumi di argomento musicale. Nel 2005 ha pubblicato con Ashgate Timba, the Sound of the Cuban Crisis (honorable mention, Alan Merriam Prize 2006, Society for Ethnomusicology, Usa). Ha curato la traduzione italiana di World Music. Una breve introduzione di Philip Bohlman (EdT 2006) e l’edizione italiana di “Sparate sul pianista! Musica e censura oggi” di M. Korpe (EdT 2007). Ha pubblicato numerosi saggi e articoli in Italia e all’estero. Lavora come giornalista musicale e fino al 2007 ha fatto parte del comitato di direzione della rivista World Music Magazine.
MUSAIC
SOTTOSUONO ENSEMBLE
Presentazione di Vincenzo Perna
Ora che tutto è sparito, restano soltanto macerie. In pochissimi giorni, decisioni tecniche e valutazioni economiche hanno cancellato la presenza fisica di Villa dei Fiori. Un luogo di cui Imola andava giustamente fiera perché fu, a suo tempo, all’avanguardia nella cura della malattia mentale. Ma anche un nome il cui ricordo è denso di solitudini e sofferenze, sottolineate - come in molti altri luoghi di contenimento della malattia psichiatrica - dalla denominazione gaia, dal tentativo di alleggerire e nascondere il dolore esistenziale contenuto. E poiché dell’edificio restano soltanto le macerie, gli organizzatori hanno pensato a una performance-installazione in grado di rendere presente l’assenza. Sul piano musicale ciò ha dato luogo a un particolare esperimento compositivo, dove ai musicisti è stato chiesto di produrre individualmente suoni e sequenze entro una certa serie di note ed ambiti temporali dati. Le registrazioni prodotte da ciascun musicista sono state poi assemblate in studio da Mario e Guido Frezzato, dando origine al prodotto finale oggi presentato. La musica qui ascoltata, dunque, proviene da macerie di macerie, perché è stata smembrata a priori per poi essere rimontata con una paziente operazione di concatenazione e sovrapposizione. Si tratta, insomma, di una forma di composizione nel senso proprio, etimologico del termine, cioè di ‘mettere insieme’, accostando, giustapponendo, mescolando ed elaborando timbri isolati e singole note, accordi e frammenti tematici.Il trattamento elettronico inscena così una performance di gruppo soltanto virtuale, che però preserva in gran parte il sound acustico originale del progetto. Nata e sviluppata in un ambito di matrice classica, l’installazione vede intervenire i suoni di flauto, oboe, corno inglese, clarinetto basso, corno, violino, viola, violoncello, contrabbasso, pianoforte e percussioni, più una traccia ambientale (rotolio di macerie) e una elettronica, consistente in un bicordo basso sib-reb.Pare appropriato che una delle linee-guida fornite ai musicisti di Sottosuono sia stata quella di cercare ispirazione nel lavoro di Robert Schumann, a duecent’anni dalla nascita (1810-1856). Non citazioni, si badi bene, ma (f)rammenti di memorie del compositore tedesco, noto per il pathos drammatico e melanconico delle opere e per aver trascorso gli ultimi anni della sua dolorosa esistenza recluso in una clinica per malati mentali. Ciò a memoria dell’antico nesso tra creatività e devianza (se si vuole, anche stereotipato nell’usurato ritratto dell’artista romantico), e pur tuttavia mai fino in fondo illuminato. Sul controluce siderale del silenzio digitale, tra le macerie della Villa e i rumori di fondo della città, suoni diafani materializzano e diffondono i fantasmi schumaniani in una texture mutevole di sonorità puntillistiche, episodi lirici, riff quasi blues, momenti d’insieme e pattern di piazzolliana memoria.Le macerie di Villa dei Fiori sono ridotte oggi ai minimi componenti, non mattoni ma forme più piccole e più complesse, ambigue e indeterminate. I giornali raccontano che le macerie non saranno rimosse ma riutilizzate nelle nuove edificazioni, memori del continuo riuso dei materiali da costruzione del passato, e anche, chissà, materia per gli archeologi del futuro. In musica, quei frammenti continuano a vivere come echi di voci e ricordi, come minime unità di senso sonoro, in omaggio a quell’idea un po’ new age che la vita dei suoni continua a lungo dopo che finiamo di udirli, sotto forma di energia presente come vibrazioni infinitesime nell’etere.